Cos’è un editor
Un mestiere sfuggente
Parlando con chi i libri li legge senza lavorarli – con il mondo reale, fuori dalla bolla talvolta autoreferenziale dell’editoria – è evidente come ci sia parecchia confusione su cos’è un editor, di preciso. L’editor, pensano alcuni, è colui che corregge gli errori di ortografia. L’editor è colui che “doveva cambiare nome al protagonista, perché così com’è proprio non mi piace”; è colui che taglia tutte le descrizioni e le riflessioni filosofiche perché non vendono in questo mondo asservito al denaro; è colui che disquisisce di massimi sistemi con l’autore, durante lunghe sedute di spritz nei bar al tramonto, cercando la quadra per cambiare il mondo in meglio. Eccetera. Come accade quasi sempre, una volta viste da vicine le cose appaiono meno epiche: ma per fortuna anche meno sgradevoli.
Andiamo per esclusione
Prima di tutto, può essere utile sgomberare il campo da tutto ciò che un editor non è. E allora:
L’editor non è un correttore di bozze. Il correttore di bozze trova i refusi e gli errori (di ortografia, di sintassi, di impaginazione), arriva dopo l’editor e pulisce il testo prima che si vada in stampa. È un mestiere rognoso, che richiede un occhio e una concentrazione non indifferenti, ma non si sovrappone se non in minima parte a quello dell’editor;
L’editor non è il lacchè del sistema bancario internazionale. In altre parole, non è colui che nel nome dell’interesse pecuniario dell’editore appiattisce il testo, normalizzandolo e rendendolo simile a tutti gli altri perché possa vendere come il prodotto che è. Che poi i libri sono (anche) prodotti, è giusto così: ma se un editore vuole testi standardizzati e piatti, puramente commerciali, ne troverà senza bisogno di farli lavorare dall’editor;
L’editor non è un professionista della supercazzola. L’editing non è un lavoro da aperitivo, da intellettuali fighetti, o comunque non dovrebbe esserlo. Dire in astratto cosa dovrebbe essere un libro è piuttosto facile, molto meno è farlo parola dopo parola, incastrando le virgole per evitare le ambiguità non desiderate, contando le sillabe per dire tutto nel minor spazio possibile, evitando di abusare della pazienza del lettore. Mediamente, durante un editing, le imprecazioni sono più delle chiacchiere.
L’editor non è uno scrittore frustrato che si impadronisce del lavoro degli altri. Un editor ha gusti, preferenze, idiosincrasie. Ma deve dimenticarsele, nei limiti dell’umano e del possibile (non ci riuscirà mai del tutto). Anche perché, altrimenti, un editor appassionato di – poniamo – fantasy coi draghi dovrebbe rifiutare ogni libro che non sia un fantasy coi draghi: nella realtà professionale, invece, si troverà a lavorare di volta in volta su un saggio storico, su un romanzo d’amore, su un romanzo che parla della depressione clinica nell’Italia rurale dell’Ottocento – e dovrà farlo bene, senza forzare il testo a essere qualcosa che non è.
Una vaga definizione
Una volta sgomberato il campo, dovrebbe essere facile stabilire cos’è questo benedetto mestiere. Non è così: l’editor rimane una figura sfuggente. È il genere di lavoro che non sai mai come far capire alla gente, perché scappa da tutte le parti (da qui la confusione dei lettori, che si trovano di fronte a spiegazioni improvvisate e spesso contradittorie). Si può partire da una definizione di base: l’editor è colui che trova la forma più efficace per i contenuti dello scrittore. Una spiegazione perfetta, a suo modo: così generica e cerchiobottista che non spiega granché.
Nella realtà professionale l’editing è un intero spettro di pratiche e di mestieri, diversi di caso in caso, di casa editrice in casa editrice, di service in service, di scrittore in scrittore. A un estremo dello spettro, editare un testo consiste nel sistemare le frasi per renderle più fluide, nell’asciugare le ridondanze e le eventuali idiosincrasie dello scrittore, nel limare e lucidare la superficie del testo. In questi casi, solitamente (ma non sempre) si interviene su un materiale già pienamente formato e rifinito, e nel caso di scrittori consapevoli e maturi questo editing leggero può addirittura sconfinare nella correzione di bozze: ma trovarsi di fronte un libro su cui non c’è proprio nulla da fare è un lusso rarissimo.
All’estremo opposto dello spettro (tralasciando il caso di testi disastrosi da ricostruire in tutto o in parte, perché in quel caso si tratta di ghostwriting), l’editor segue l’autore fin dall’inizio, aiutandolo a definire gli obiettivi stessi del testo: in questo caso, oltre a trovare la forma più efficace per i contenuti dello scrittore, dovrà anche provare a far emergere i contenuti che lo stesso scrittore non è consapevole di avere in testa. Sarà allora un consulente in fase di progettazione: dovrà soppesare con l’autore ogni scelta, sulla base degli obiettivi che l’autore vuole raggiungere. Sarà un appoggio e un garante in fase di scrittura: in questo caso dovrà vegliare sullo scrittore evitandogli di deragliare e di arenarsi, in modo che il progetto non si trasformi inconsapevolmente in qualcosa di diverso e indesiderato. Infine andrà a intervenire sul testo in prima persona, modellando il materiale dell’autore fino alla forma definitiva, perché essendo meno coinvolto di lui sarà l’unico ad avere la freddezza – in senso buono – per rifinirlo, e al tempo stesso conoscerà il progetto a fondo quanto lo conosce l’autore stesso.
L’editor è un allenatore
A prescindere da quale posizione si assuma all’interno dello spettro, il mestiere che più somiglia a quello dell’editor è l’allenatore. Cioè un tipo che sta dietro a un professionista (dello sport o della narrazione) e cerca di capire cosa sia meglio per lui, di caso in caso, quali metodi utilizzare per far venire fuori il suo potenziale e per evitare che esageri pretendendo da se stesso miglioramenti eccessivi in tempi troppo rapidi. Nei casi più tranquilli è un consulente in grado di dare il consiglio giusto al momento giusto; in quelli più estremi un confidente, un consulente psicologico e un cane da guardia.
Come per un allenatore, un editor efficace deve affinare capacità che non si fermano alla conoscenza teorica e pratica dei fondamentali (in questo caso l’italiano e le strutture narrative), ma si espandono e variano a seconda dei casi. È necessaria sensibilità, per entrare nel mondo dell’autore e comprendere quali sono le sue esigenze di comunicazione (a prescindere dalle maschere che potrà indossare per cercare di piacersi di più come persona e come scrittore), ma anche per comprendere le sue paure e i suoi blocchi nei confronti della materia trattata (è raro che una persona si prenda la rogna di scrivere un libro senza che il suo argomento lo tocchi emotivamente da vicino). Serve un certo livello di consapevolezza personale: solo sapendo davvero (anche in questo caso, al netto delle maschere) quali sono i propri gusti, i propri argomenti e le proprie strategie narrative sarà possibile lasciarle da parte per mettersi al servizio di quelle dell’autore. Infine è indispensabile non essere pigri, perché se una cosa non funziona non funziona, a prescindere da quanto lavoro serva per sistemarla: un editor troppo conservativo, o esitante, difficilmente farà un buon servizio al testo. In questo caso c’è anche un corollario: spesso bisogna accettare di fare la figura degli stronzi. Evitare di affrontare un problema che pure si è rilevato, assecondare l’autore per paura di entrare in conflitto con lui è controproducente: non è con le pacche sulle spalle che si aiuta la gente a migliorare, e a volte impuntarsi è l’unico modo – più facile a dirsi che a farsi, considerato anche il rischio di farsi prendere la mano.
Un lavoro incasinato, come tutti
Ogni cosa, vista, da vicino, è più complessa, e se molti elementi risultano più comprensibili altri si fanno quasi inafferrabili. I mestieri non fanno eccezione, e l’editor è un mestiere come gli altri nonostante le mitologie che con il tempo si sono abbarbicate al mondo di chi scrive storie e chi poi le pubblica. Lavorare un libro, che sia un saggio o un testo narrativo, non è una questione esoterica di ispirazione e creatività, e al tempo stesso non è solo la sterile espressione di fumisterie intellettuali slegate da qualsiasi realtà.
Quello dell’editor è un mestiere paradossalmente pratico, con i suoi strumenti e le sue strategie, è montare insieme allo scrittore un edificio che sia fatto di mattoncini minuscoli come le sillabe e le parole e le virgole. Lo scrittore ha la responsabilità della struttura e dello stile; l’editor fa in modo che tutto sia coerente e fruibile. Lo scrittore fa sì che il palazzo non cada a terra, e che abbia uno scopo chiaro; l’editor farà in modo che si possa camminare in ogni angolo, senza ostacoli o macerie, che ci siano corridoi e scale a collegare ogni stanza e ogni piano in modo razionale e agevole. È un lavoro di pazienza e di tentativi, montare e smontare, tentativo dopo tentativo, rilettura dopo rilettura.
Poi, se l’edificio cade, non muore nessuno: è un bel vantaggio, per lo scrittore e per l’editor, rispetto ad altre professioni. Ma se rimane in piedi potrà aiutare qualcuno a sognare, ad affrontare le proprie paure, a capire meglio il mondo e magari ad accettarlo, e non è una cosa da poco.
Umberto Ledda. Copyright © 2022 All rights reserved.
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